In merito al reato di peculato, con le Sentenze n.35150/10, 41709/10 e 256/11, la Corte di Cassazione ha ribadito e specificato più volte il principio secondo cui “i dipendenti pubblici possono utilizzare il telefonino di servizio e la connessione internet dell’ufficio per scopi privati, purché le spese restino modeste”.

Si ricordi, al riguardo, che i Giudici di legittimità, con sentenza 26595/09, hanno inizialmente ritenuto che “integra il reato di peculato, l’indebito uso della linea di servizio da parte del pubblico funzionario, non rilevando l’utilizzo del telefono come oggetto, ma l’appropriazione delle energie formate da impulsi elettronici facenti parte del patrimonio dell’ente” e quindi di cose “non immediatamente restituibili”.
Si ricordi, però, che il peculato è un reato volto a tutelare il patrimonio della pubblica amministrazione e perché sussista il reato, è necessario accertare se vi sia stato un danno economico per l’ente pubblico.
La Cassazione, intervenendo su tale argomento, ha ritenuto in primis con la sentenza n. 35150/10 che “se la cosa oggetto di appropriazione ha un valore economico molto modesto, il reato non può profilarsi, mancando un’effettiva lesione patrimoniale”.
Successivamente, con la sentenza n. 41709/10, la Corte ha affermato che “non sussiste peculato se l’uso privato del bene di servizio sia modesto”.
In ultimo, con la sentenza 256/11 la Cassazione ha confermato il percorso tracciato dalle precedenti pronunzie, annullando la condanna comminata in primo e secondo grado e rinviando ai giudici d’appello, ha affermato che spetterà a loro verificare che la “condotta di abusiva appropriazione abbia avuto ad oggetto cose di valore economico intrinseco apprezzabile”.
Si può concludere affermando che il peculato è un reato volto a tutelare il patrimonio della pubblica amministrazione ed affinché vi sia una responsabilità penale è necessario che il pubblico funzionario si sia appropriato “a proprio profitto”, e per finalità differenti da quelle d’ufficio, di un bene rientrante nella sfera pubblica, causando un consistente “danno economico”.