Inchiesta “Mondo di mezzo”: Roma, mafia e corruzione

L’inchiesta Mondo di mezzo, condotta dalla Procura di Roma, ha portato alla luce tutti gli intrecci affaristici e malavitosi della città eterna, che sono risultati essere rigorosamente bipartisan e trasversali. Si tratta di un vero e proprio terremoto politico-giudiziario che ha coinvolto personaggi di spicco dell’amministrazione cittadina (dal 2008 al 2013) e ha portato all’arresto di ben 37 persone. Questo solido connubio di malaffare tra mondo criminale e mondo istituzionale, avrebbe dato luogo ad un potente e versatile business: dagli appalti truccati all’estorsione, dal prestito ad usura al riciclaggio, dal trasferimento fraudolento di valori alle false fatturazioni.

Giuseppe Pignatone, procuratore capo di Roma, ha definito questa complessa struttura delinquenziale un “ramificato sistema corruttivo e mafioso”, che, tuttavia, non avrebbe legami di sorta con le altre organizzazioni criminali della Penisola. Si tratterebbe, dunque, di un gruppo malavitoso che è nato e che si è attivato nella Capitale, ma caratterizzato da un modus operandi affine a quello delle ben più note mafie italiane.

Un simile scenario evoca nella mente dei più il fenomeno ricorrente della corruzione, inscindibilmente legato al malcostume politico e istituzionale. Vediamo nel dettaglio in cosa consiste e come si configura il reato di corruzione.

Il reato di corruzione

Il reato di corruzione (disciplinato dagli artt. 318-322 del Codice Penale) è da intendersi come un abuso di ruolo e di risorse pubbliche, allo scopo di ottenere un vantaggio personale. Esso è definito un reato proprio, nel senso che  può essere commesso solo da coloro che hanno la qualifica di Pubblico Ufficiale (i funzionari pubblici ovvero i privati che esercitano pubbliche funzioni). Tale reato si configura nel momento in cui il funzionario pubblico o l’incaricato di un pubblico servizio accetta denaro (o anche la promessa di esso) da un privato, al fine di effettuare un atto da lui dovuto o al fine di compierne uno contrario a quanto la sua funzione gli imporrebbe. Altra caratteristica saliente di questa tipologia di reato è che esso è da considerarsi plurisoggettivo, nel senso che ne rispondono sia il corrotto (il pubblico ufficiale) che il corruttore (il privato cittadino). Quest’ultimo, in particolare, mette in atto un tipo di corruzione attiva, mentre il pubblico ufficiale esercita la cosiddetta corruzione passiva. La criminalizzazione di tale condotta da parte del Legislatore ha inteso perseguire un duplice fine: da un parte istituire il divieto per il privato cittadino di offrire una retribuzione affinché vengano compiuti atti d’ufficio e, dall’altra, garantire il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione.

La L. 6 novembre 2012, n. 190, nota come Legge anti-corruzione, prevede misure di contrasto più severe per arginare la diffusione del fenomeno corruttivo nel nostro Paese. L’intervento legislativo contempla, ad esempio, un significativo innalzamento delle pene.

Qualora a un Pubblico ufficiale sia stato attribuito il reato di corruzione, egli deve affidarsi alle capacità difensive di un buon avvocato penalista, che sia in grado di accertarsi della attendibilità e della validità dell’accusa, di verificare le prove a carico del proprio assistito e di mettere a punto un efficace piano difensivo, anche svolgendo indagini ad hoc.